Modica

Modica, come altri centri storici del Val di Noto, deve la sua particolare configurazione urbana alla non comune conformazione del territorio combinata ai vari fenomeni di antropizzazione. Molte abitazioni della parte vecchia della città, addossate le une sulle altre, sono spesso l’estensione delle antiche grotte, abitate fin dall’epoca preistorica. Sono state censite circa 700 grotte che una volta erano abitate, o comunque adibite a qualche uso, fra quelle visibili e quelle “inglobate” in nuove costruzioni. Di notevole rilevanza storica è l’ottimo stato di conservazione, in pieno centro storico, della necropoli del Quartiriccio, al quartiere Vignazza, con alcune decine di tombe a forno scavate nella roccia, risalenti al 2200 a.C. Il tessuto urbano, adagiato sui fianchi delle due vallate e sui pianori delle colline sovrastanti, è un intrigo di casette, viuzze e lunghe scale, che non possono non ricordare l’impianto medievale del centro storico, tutto avviluppato intorno allo sperone della collina del Pizzo, sul quale poggiava inaccessibile il Castello. Modica è un’inaspettata meraviglia… È un effetto bizzarro, unico, qualcosa di addirittura irreale come visto nel prisma deformante del sogno, come un immenso fantasmagorico edifizio di fiaba, il quale, anziché di piani, fosse fatto di strati di case.
Le chiese solitamente non si affacciano su piazze, ma su imponenti e scenografiche scalinate modellate sui declivi delle colline. Lo stile prevalente dei monumenti è quello comunemente identificato come tardo barocco, ma più specificatamente, per quel che riguarda Modica, dobbiamo parlare del Barocco siciliano della Sicilia sud orientale, quello successivo al catastrofico terremoto del Val di Noto del 1693.
Altro elemento caratterizzante il territorio, in particolare la campagna, è la fitta rete di “muri a secco” che delimita gli appezzamenti di terreno, trapunti di maestosi alberi di carruba, molto frequenti in tutto il territorio provinciale (maggior produttore italiano del suo frutto). La ragione della fitta maglia di muri a secco va ricercata nella precoce formazione di una classe di piccoli proprietari terrieri, che dalla prima metà del Cinquecento frazionarono un immenso feudo, la Contea di Modica, corrispondente grosso modo al territorio dell’odierna Provincia di Ragusa, delimitando le nuove proprietà con tali recinti.
Come retaggio ed eredità di una bizzarria storica, che ha privato Modica della sua secolare centralità politica, amministrativa e culturale, la città conserva una sua autonomia comprensoriale. Per esempio, quando nel 1955 fu istituita la Diocesi di Ragusa, la città di Modica, insieme alle limitrofe Scicli, Pozzallo e Ispica, rimase a far parte della Diocesi di Noto, a cui appartiene dal 1844. Inoltre la città ha mantenuto il suo storico Tribunale, che risale al 1361. Le Istituzioni e le strutture scolastiche, sanitarie e giudiziarie, pertanto, continuano ad essere un punto di riferimento per le popolazioni della parte orientale della provincia iblea, oltreché dell’intero distretto geografico sud orientale dell’Isola.

Duomo di San Giorgio

Chiesa Madre di San GiorgioIl Duomo di San Giorgio in Modica viene spesso indicato e segnalato come monumento simbolo del Barocco sicilianotipico di questo estremo lembo d’Italia. La chiesa di San Giorgio, inserita nella Lista Mondiale dei Beni dell’Umanità dell’UNESCO, è il risultato finale della ricostruzione sei/settecentesca, avvenuta in seguito ai disastrosi terremoti che colpirono Modica nel 1542, nel 1613 e nel 1693 (il più grave, vedi Terremoto del Val di Noto).
L’imponente facciata a torre, che si eleva per un’altezza complessiva di 62 metri, fu costruita a partire dal 1702 e completata, nel coronamento finale e con l’apposizione della croce in ferro sulla guglia, nel 1842.
La facciata attuale – dalle sorprendenti analogie con la coeva Katholische Hofkirche di Dresda – fu realizzata modificando, forse anche con parziali demolizioni, quella secentesca preesistente, di cui non abbiamo documenti o disegni ma che aveva resistito alla forza del terremoto.
La cupola s’innalza per 36 metri. Una scenografica scalinata di 164 gradini, disegnata per la parte sopra strada dal gesuita Francesco Di Marco nel 1814 e completata nel 1818, conduce ai cinque portali del tempio, che fanno da preludio alle cinque navate interne della chiesa, che ha pianta basilicale a croce latina e tre absidi dopo il transetto. La parte della scalinata sotto il Corso San Giorgio fu progettata nel 1874 dall’architetto Alessandro Cappellani Judica e completata nel 1880. La prospettiva frontale di tutto l’insieme è arricchita da un giardino pensile su più livelli, detto Orto del Piombo, costeggiato dalla scalinata monumentale, e compone una scenografia che ricorda Trinità dei Monti in Roma.L’interno della chiesa è a cinque navate, con 22 colonne sormontate da capitelli corinzi. Il tempio è dedicato ai martiri San Giorgio e Ippolito, e fra le navate vi si possono ammirare un monumentale organo con 4 tastiere, 80 registri e 3000 canne, perfettamente funzionante, costruito tra il 1885 e il 1888 dal bergamasco Casimiro Allieri; un dipinto di scuola toscana, L’Assunta del tardo-manierista fiorentino Filippo Paladini (1610); una pittura naif su legno, La Natività del pittore milanese Carlo Cane(1615-1688), della seconda metà del Seicento; la tela (1671) del Martirio di Sant’Ippolito del Cicalesius, una statua marmorea di scuola gaginiana, la Madonna della Neve della bottega di Bartolomeo Berrettaro e Giuliano Mancino, del 1511; il polittico dell’altare maggiore, composto da ben 10 tavole, attribuite per molto tempo al messinese Girolamo Alibrandi come opera del 1513. Ma gli storici dell’arte del Novecento e gli studiosi contemporanei hanno attribuito in maniera definitiva l’opera al pittore tardo manierista modicano (per matrimonio) Bernardino Nigro (1538- 1590), datandola 1573; le pale raffigurano le scene della Sacra Famiglia e della vita di Gesù, dalla Natività fino alla Resurrezione e all’Ascensione, oltre a 2 riquadri con le classiche iconografie dei due santi cavalieri, San Giorgio che sconfigge il Drago, e San Martino che divide il proprio mantello con Gesù, che gli si presenta sotto le vesti di un povero accattone.

Duomo di San Pietro

San Pietro (Modica)
Clemensfranz, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Un documento del vescovo di Siracusa ne attesta l’esistenza in sito nel 1396, ma la data della sua prima edificazione è da collocarsi dal 1301 al 1350 circa, come attestato dallo storico secentesco Placido Carrafa. Eretta in collegiata con bolla di Clemente VIII del 2 gennaio 1597, due secoli dopo per Decreto Regio di Carlo III di Borbone (1797), ed in seguito a secolare disputa, è stata dichiarata Chiesa Madre al pari di San Giorgio, la chiesa “ufficiale” dei Conti. Fa parte anch’essa della lista dei Monumenti Bene dell’Umanità dell’UNESCO.

Chiesa di San Giovanni Evangelista

La chiesa di San Giovanni Evangelista presenta una facciata la cui ultima versione è stata rifatta dopo il 1839, per essere completata fra il 1893 ed il 1901. Il luogo di culto si trova in questo sito dal 1150 (bolla di papa Eugenio III). Un documento del marzo 1217 cita le chiese di San Giovanni e di San Giorgio in Modica come poste sotto la tutela della Chiesa di Mileto, in Calabria.

Chiesa del Carmine

La chiesa di Santa Maria del Carmelo, detta “del Carmine” (fine XIV – inizi XV secolo), è uno dei pochi monumenti che resistette alla violenza del terremoto del 1693. E infatti il prospetto, che aveva in parte superato anche il terremoto del 1542 e quello del 1613, è arricchito da un bel portale risalente alla fine del Trecento, già dichiarato Monumento Nazionale all’inizio del XX secolo, sovrastato da un rosone francescano con dodici raggi, il tutto in stile tardo gotico chiaramontano.

Convento del Carmine

L’edificazione avvenne a seguire la Chiesa omonima, fra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento, per ospitare i frati Carmelitani giunti in Sicilia già da qualche decennio. Il convento era dotato di 23 celle, ed è stato sottoposto a varie ristrutturazioni ed ampliamenti da sovraelevazione nel corso dei secoli, soprattutto dopo i danni del terremoto del 1693, e successivamente, quando fu requisito dal Regno d’Italia nel 1861 per farne sede della Caserma dei Carabinieri. È in questa occasione che vengono a scomparire gli orti antistanti il Convento, per essere trasformati nella pubblica piazza del Carmine, intitolata nel secolo successivo a Giacomo Matteotti. Il prospetto è stato interamente rifatto, in stile neorinascimentale-liberty. Trasferitasi l’Arma dei Carabinieri in altra sede intorno al 2000, sono stati pensati, progettati, ed in questo inizio d’anno 2012 quasi conclusi, degli importanti lavori di restauro e consolidamento, che hanno portato a fortuiti rinvenimenti delle strutture portanti medievali, sono state scrostate le mura, e riportati alla luce i pavimenti in acciottolato del XIV secolo, gli archi ogivali gotici che immettono da un ambiente conventuale ad un altro, delle finestrelle in stile svevo chiaramontano del XIV secolo. Le notevoli risultanze e rinvenimenti di questi restauri sono stati presentati nel corso della XX giornata del Fondo Ambiente Italiano (FAI), del 24 e 25 marzo 2012.

Chiesa di San Domenico, ex Convento e Cripta

La chiesa di San Domenico, detta del Rosario (1678), presenta uno dei pochi prospetti rimasti integri dopo il terremoto del 1693.
L’originaria costruzione della chiesa, con l’annesso convento dei Domenicani risale al 1461. Il luogo sacro è ricco di interessanti tele del Cinquecento, ed ha una cappella interna, un tempo riservata alla preghiera dei frati, riccamente decorata con pitture murali e pregevoli stucchi. Il convento è sede del Palazzo Municipale, dal 1869. Nell’atrio è visitabile una interessante cripta sotterranea (Seicento), scoperta da Giovanni Modica Scala a metà Novecento, contenente resti ossei, attribuibili ai Frati Domenicani stessi, e che lascia intravedere tracce di affreschi. Il convento era sede, per la diocesi di Siracusa, del Tribunale dell’Inquisizione, o Sant’Uffizio.

 

 

 

Portale de Leva

Il Portale De Leva, di primo Trecento, Monumento Nazionale, è un elegante esempio dello stile gotico chiaramontano che poi dominò come stile in Sicilia nel corso di tutto il Trecento. È, insieme al portale della Cappella Palatina custodita all’interno della Chiesa di Santa Maria di Betlem, il più bel portale di Modica, con gli archi di una grande ogiva scolpiti a tre ordini, con decorazioni geometriche a zig zag, e foglie di acanto a completare la fitta trama di ricami arabeschi. Era con molta probabilità la porta d’ingresso di una chiesetta (dedicata ai santi Filippo e Giacomo), come fa pensare una piccola finestra circolare che sormonta il portale, e che doveva contenere un rosone, tipico ornamento ecclesiastico. La chiesetta, sopravvissuta al terremoto del 1693, sarebbe poi divenuta cappella privata della nobile famiglia De Leva, incorporata nel loro settecentesco Palazzo. La porta della casa De Leva è l’ultimo avanzo frammentario di una Chiesetta gotica non più esistente, arieggiante… la splendida ogiva delle due grandi finestre della Cattedrale di Palermo, scriveva Salvatore Minardo in Modica Antica, opera edita nel 1952.

Santuario della madonna delle Grazie

Il santuario di Santa Maria delle Grazie è una chiesa seicentesca che sorge nella parte bassa della città di Modica.
L’edificazione del santuario di Modicafu decisa in seguito al ritrovamento in loco, il 4 maggio 1615, di una tavoletta di ardesia raffigurante la Madonna con in braccio il Bambino; la narrazione riporta che tavoletta bruciò incessantemente per tre giorni, dentro un cespuglio di rovi, senza consumarsi, per cui si gridò al miracolo, ed il popolo volle che ivi fosse innalzata un edificio di culto. I lavori, affidati all’architetto siracusano Vincenzo Mirabella, iniziarono subito, subendo una momentanea interruzione per la sopraggiunta morte del Mirabella, nel 1624. Risalgono ai primi del Seicento il portale laterale, con le sue finissime decorazioni di stile tardo rinascimentale sotto il timpano spezzato, e probabilmente la torre campanaria alla sinistra del colonnato sul prospetto principale, peraltro rifatto, quest’ultimo, dopo il terremoto del 1693, in stile tardo barocco, con le robuste colonne binarie sporgenti, che ricordano quelle del Duomo di San Giorgio.
La Madonna delle Grazie fu proclamata patrona principale di Modica con decreto vescovile del 3 agosto 1627, come da richiesta della civica assise risultante nella Copia Consilii Civitatis Moticae del 1626, trovata presso l’Archivio generale dell’Ordine Carmelitano in Roma. Un dipinto sulla volta dell’abside, in cui campeggia Maria sullo sfondo della città, recita: Ecce Mothuca Mater Tua.
Nel gennaio 2015 il santuario è stato elevato alla dignità di basilica minore.

Monumenti e luoghi d’interesse: architetture civili

Palazzo Polara

Sul lato sinistro del Duomo di San Giorgio è visibile Palazzo Polara, della fine del Settecento, sul cui frontone spicca lo stemma della famiglia con la stella polare. Palazzo Polara, è una costruzione in stile tardo barocco, introdotta da un elegante scalone. La facciata, in un tutt’uno scenografico con la scalinata monumentale ed il prospetto del Duomo di San Giorgio, domina la parte bassa del centro storico di Modica e le colline che la circondano facendole corona, in un suggestivo colpo d’occhio che ci conduce verso il Belvedere della città alta, il cosiddetto Pizzo.

Palazzo degli Studi

Il Palazzo degli Studi (1610 – 1630) era in realtà il Convento dei Padri Gesuiti, i quali fin dal loro insediamento nella struttura ne fecero il Collegio dove istruire i rampolli dell’aristocrazia di Modica. L’intero edificio sorse per volontà della contessa Vittoria Colonna de Cabrera, che si fece promotrice della venuta a Modica dei Gesuiti, e contribuì finanziariamente, insieme al Comune e ai possidenti del tempo, al che nella capitale della Contea si istituissero corsi di studio di livello universitario. Fu dunque sede del Collegio Gesuitico sin dal 1630, del Ginnasio comunale nel 1862, del Regio Istituto Tecnico “Archimede” dal 1866, e ospita, dal 1878, il Liceo Classico intitolato allo scienziato e filosofo modicano Tommaso Campailla.

 

Teatro Garibaldi

La prima costruzione fu realizzata fra il 1815ed il 1820, accorpando un magazzino con la casa di un aristocratico, e fu chiamato Real Teatro Ferdinandeo in onore al regnante dell’epoca. Aveva due file di 24 palchi e la platea. Nel 1844 fu affidato all’ingegner Salvatore Riga il compito di progettare l’ampliamento del teatro, raddoppiando la grandezza della platea, innalzando una terza fila di palchi ed aggiungendo il loggione, riproducendo così lo stile dei teatri lirici all’italiana presenti nelle maggiori città siciliane. Il teatro, dopo l’Unità d’Italia fu intitolato a Garibaldi. Esso si presenta con la facciata in stile liberty (o neoclassico), con i due piani sormontati da una balaustra che presenta al centro un pannello scultoreo decorato con strumenti musicali. Sopra il pannello fu posto, sorretto da due figure maschili, un orologio, con in cima l’aquila, simbolo della Contea di Modica. Fu inaugurato nel 1857 con la Traviata di Giuseppe Verdi. Dopo i lavori di restauro e di messa in sicurezza, è stato riaperto al pubblico definitivamente nel 2004. Nel Dicembre 2016, sono stati avviati i lavori di recupero della fossa orchestrale al fine di ospitare spettacoli di opera in musica.

Monumenti e luoghi d’interesse: architetture militari

In cima ad una rupe, costruito sul pianoro conclusivo di un promontorio roccioso a becco d’aquila, ha rappresentato per tanti secoli la sede del potere politico e amministrativo di quella che fu la Contea di Modica. Dal punto di vista monumentale, il Castello, o ciò che di esso rimane, nato come fortificazione rupestre, viene modificato in varie epoche tra l’VIII e il XIX secolo, e si erge su un promontorio roccioso difficilmente attaccabile, con due lati su tre costituiti da pareti a strapiombo.

Torretta dell’Orologio

Sui resti post-terremoto (fine XVII secolo) di una torretta di avvistamento (fano) medioevale del castello dei Conti, posta a cavaliere delle mura sottostanti, è stato apposto, nel 1725, un orologio meccanico a contrappesi, ancora perfettamente funzionante, i cui complessi meccanismi vengono controllati e riavviati ogni 24 ore circa. Gli ingranaggi, che permettono il funzionamento di quest’orologio esclusivamente in modo meccanico, vengono quotidianamente curati e regolati da un tecnico del Comune. L’interno della torretta – caratterizzato grandi molle metalliche, pesi e contrappesi, grosse funi e catene – è visitabile soltanto in particolari occasioni. Dalla balaustra della torre si può godere di un suggestivo, insolito, panorama sulla parte bassa del centro storico. La torre dell’orologio è sempre stata considerata il “simbolo” dell’antica nobile Città di Modica, dichiarata “patrimonio dell’Umanità”.

Casa natale di Salvatore Quasimodo

Casa natale di Salvatore Quasimodo, in cui il 20 agosto 1901 nacque il poeta, insignito del Premio Nobel per la Letteratura il 10 dicembre 1959. La casa, dove Salvatore visse solo i primi 5 giorni della sua vita è visitabile. Contiene, nella stanza in cui vide la luce, un letto in ferro battuto, un inginocchiatoio, un capezzale e altri mobili ed arredi di primo Novecento; inoltre sono presenti una vecchia macchina da scrivere Olivetti, uno scrittoio, una collezione di dischi, una libreria con annessi libri, provenienti da uno degli studi di Milano, che il figlio Alessandro ha venduto alla Regione Siciliana nel 1996, insieme ad altri oggetti regolarmente inventariati dall’Assessorato Regionale ai Beni Culturali. Da un vecchio nastro, ai visitatori viene fatta ascoltare la voce del Poeta che recita alcune sue poesie, e sempre dalla sua viva voce, il discorso dal titolo “Il Politico ed il Poeta” da Quasimodo letto a Stoccolma in occasione del conferimento del Nobel.

Chiesa rupestre di San Nicolò Inferiore

Presenta dei magnifici affreschi sulla nuda roccia, di stile tardo-bizantino, databili fra il XII ed il XVI secolo: si tratta di una grotta artificiale, in  pieno centro cittadino, nella quale si osservano diversi cicli di affreschi; una chiesa rupestre definita dagli studiosi un unicum nel panorama della Sicilia medievale. L’affresco principale è un bellissimo Cristo Pantocratore posto al centro dell’abside, dove si raffigura un Cristo benedicente racchiuso in una mandorla seduto su un trono fra due coppie di Angeli. Sul lato destro dell’abside si trova un catino battesimale, scavato nella roccia, per il battesimo con rito orientale. Ultimi in ordine di tempo, alcuni lavori di scavo hanno portato alla luce una serie di cripte e di tombe terragne.

 

Cava Ispica

Cava Ispica (il nome precede quello dell’omonima, vicina città, chiamata Spaccaforno fino al 1936) raccoglie, in tredici chilometri di lunghezza, numerose testimonianze di epoche diverse: dalle grotticelle sicule a forno dell’età del bronzo, alle catacombe cristiane del Basso Impero (IV-V secolo d.C.), dagli affreschi rupestri della “Grotta dei Santi”, ai ruderi della chiesetta bizantina di S. Pancrati. Notevole la catacomba della Larderia, un cimitero ipogeico che in circa 500 m2 (secondo in Sicilia per estensione) racchiude ben 464 tombe, suddivise in tre gallerie sotterranee, delle quali la principale è lunga circa trenta metri. Il sito è in effetti una vera e propria città nella roccia, dove nei pressi delle grotte abitate dagli uomini e dagli animali domestici, ce ne erano altre adibite a magazzini, o a luoghi di culto con altari e affreschi sulla nuda roccia. Infine, nascoste dalla vegetazione o protette da una certa difficoltà di accesso, negli anfratti più ripidi della cava, centinaia di grotte ad uso funerario.
La cava, che in alcuni punti è profonda anche cento metri e larga più di 500, presenta una vegetazione rigogliosa, attrazione per varie specie di uccelli, tale da conferire al luogo notevole importanza anche dal punto di vista naturalistico.
Lungo la vallata sono presenti una miriade di grotte naturali o scavate nelle roccia dalla mano dell’uomo, alcune difficili da raggiungere, se non con corde, stretti camminamenti tra i massi o scale.
Celebre e di grande interesse storico ed archeologico è il Castello Sicano a cinque piani, interamente incassato nella roccia, vera e propria fortezza scavata in una parete calcarea che scende a picco per trenta metri di altezza. Forse era la residenza del principe del luogo.

Cava Lazzaro

La valle di Cava Lazzaro annuncia quella di Cava Ispica, e rappresenta una fra le più interessanti stazioni archeologiche del paleolitico siciliano. Presenta grotte a forno e ad anticella, oltre a caverne templari ad uso  religioso, con escavazioni a mano di pilastri e colonne. Di notevole pregio archeologico è la Tomba Orsi, certamente riservata ad un personaggio importante del luogo, con un prospetto molto esteso in lunghezza e ornato con finti pilastri, sui quali sono scolpiti simboli geometrici; prende il nome da colui che la scoprì, l’archeologo Paolo Orsi. A Cava Lazzaro sono stati rinvenuti strumenti di amigdala, vasellame della civiltà castellucciana, manufatti vari di civiltà presicule comprese nel periodo XXII-XV secolo a.C.(facies di Castelluccio, prima età del bronzo), tutti conservati al Museo Civico di Modica. A Cava Lazzaro è stato trovato pure un cranio assegnato dal Pigorini al tipo di Neanderthal, e che è visibile al Museo Etnografico L. Pigorini di Roma.

Cava dei Servi

Zona di particolare bellezza, si chiama Cava dei Servi perché si dice che in passato qua venissero i Servi di Dio.
Essa alterna pareti rocciose a strapiombo, a zone dall’andamento pianeggiante, a gole profonde invase dall’acqua del torrente.
Si possono ammirare boschi con lecci e querce, e tratti di Gariga, tipica formazione discontinua di cespugli e piccoli arbusti, fra i quali predominante è il timo arbustivo. Nella parte iniziale, la Cava dei Servi (di Dio), diventata Parco forestale, si presenta ampia e di facile accesso.
Lungo la cava scorre il torrente Tellesimo, un affluente del Tellaro, che forma ad un certo punto del suo corso il Gorgo della campana, un laghetto a forma circolare. Questo torrente è uno dei più singolari della zona iblea: nasce in contrada Bellocozzo all’interno proprio della Cava dei Servi e termina dopo circa 15 km confluendo nel fiume Tellaro, in territorio di Noto. Il letto lungo cui scorre il Tellesimo ha pareti a strapiombo traforate da parecchie grotte, e diventa, nella parte terminale, stretto e tortuoso, conservando così, grazie alla sua impervietà, un ecosistema ancora integro.
Cava dei Servi fu abitata dall’uomo fin dalla preistoria. Su una collina chiamata Cozzo Croce si trovano, infatti, alcune necropoli attribuibili all’età del bronzo, con due monumenti funerari (dolmen) realizzati con lastroni infissi nel terreno e disposti circolarmente.

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